27 Lug 2015
Educare alla resilienza
Stamattina ero in fila sull’Asse mediano direzione Cagliari e ascoltavo uno dei tanti notiziari. Mi ha colpito la scomparsa della figlia di Whitney Houston.
“Bobby Kristina non si era mai realmente ripresa dal dolore e dallo shock della morte della madre, aveva 22 anni”.
Mi ripetevo…Morta…Si è lasciata morire a 22 anni. Non ci posso credere. Non ci voglio pensare!
Resilienza Mancava di Resilienza.
Costruite giorno dopo giorno nei vostri bambini, ragazzi la capacità di affrontare le brutture della vita. Insegnategli che a tutto c’è rimedio, anche alla morte di una persona cara. In che modo? Dalle piccole e stupide cose che ti accadono tutti i giorni. Si brucia la torta. Pazienza! Togliamo la parte bruciata e facciamo una crema e la farciamo insieme. Si rompe il phon lo porto ad aggiustare. Non si può aggiustare? Meglio così, compro quello galattico. Dalle stupide e piccole cose. Si vabbeh! Ma vuoi mettere la morte di una persona con una torta bruciata…Ovviamente No.
Voglio mettere… allenarsi e allenare i nostri figli a trovare valide e diverse soluzioni a ciò che capita nella vita. Questo sì!
La resilienza è una “ripartenza. Un’inversione di tendenza a seguito di un “rimbalzo” come indica la voce latina “resalio”.
Resilienza” è un termine per lo più attribuito alla metallurgia, infatti è un termine derivato dalla scienza dei materiali che indica la proprietà che alcuni materiali hanno di conservare la propria struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione. Emmy Werner lo usò per la prima volta nell’ambito di una ricerca sui neonati dell’isola hawaiiana di Kauai, dove aveva riscontrato l’attitudine di far fronte alle difficoltà della vita in contesti sociali sfavorevoli
La resilienza in psicologia è l’abilità di rialzarsi dopo una crisi, più flessibili, più consapevoli e più equilibrati di prima; è l’istinto di superare le sofferenze senza soccombere, traendo apprendimento da quanto patito. E’ un processo di rielaborazione cognitiva, emotiva, comportamentale e spirituale della rappresentazione del dolore che porta a fronteggiare perdite, traumi, lutti con la volontà di ricominciare a costruire, anche se con poche energie.
Si tratta di incontrare la sofferenza, accettarla e trovare forme di elaborazione che permettano alla persona di integrare le parti luce con le parti buie, le risorse con i limiti, e comprendere che l’esperienza traumatica, che rimane scritta nel profondo dell’animo, può divenire occasione formativa. Non significa urlare al mondo quanto sono contento di come sto soffrendo, No, questo no.
Guardare in faccia la realtà, la sofferenza. Trovare risorse, nuove e flessibili per affrontare ciò che di traumatico e doloroso è accaduto. Questo sì!
Ciascuno di noi conoscendo se stesso, può utilizzare risorse che non sapeva di possedere. Attraverso la resilienza non si va verso il dolore e l’autodistruzione, ma si va verso una diversa consapevolezza di se.
Una psicologa, Edith E. Grotberg, studiosa di resilienza, ha proposto un modello per superare le situazioni traumatiche fondato su: I have, I am, I can. Io ho risorse, io sono, io posso affrontare.
Ciascuno di noi possiede questo atteggiamento sin dalla nascita lo dobbiamo solo affinare e sviluppare come hanno fatto Giusy Versace, Annalisa Minetti e tante persone comuni come i genitori della tabaccaia uccisa ad Asti. Ciascuno con la sua modalità che gli permette di andare avanti nonostante ciò che gli è accaduto. meccanismi comportamentali che non sono più funzionali alla vita.
Bibliografia
- Elena Malaguti – Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi – Ed Erickson (2005)
- Giorgio Nardone, Alessandro Salvini – Dizionario Internazionale di psicoterapia – Ed Garzanti (2013)
Sitografia
http://www.doppiozero.com/materiali/chefare/resilienza-larte-di-adattarsi
http://www.nonterapia.ch/tre-eventi-eccezionali-sabato-7-febbraio-a-milano-a-partire-dalle-18-30/
http://www.nonterapia.ch/tre-eventi-eccezionali-sabato-7-febbraio-a-milano-a-partire-dalle-18-30/
30 Lug 2015
Una riflessione su vulnerabilità vs resilienza
Non ci può essere resilienza senza vulnerabilità.
La vulnerabilità è l’altra faccia della medaglia.
Ieri mattina leggevo i vari quotidiani online e la notizia che più mi ha colpito è stata quella di
Bailey: 8 anni e una paralisi cerebrale Finisce il triathlon e corona il sogno
Quanta vulnerabilità in Bailey eppure quanta resilienza. Questo bambino è riuscito ad andare oltre il suo personale dramma, come i suoi genitori che facevano il tifo per lui. La vita sferra un colpo e Bailey risponde con altrettanta forza, tenacia e umiltà.
Vulnerabilità proviene da vulnus, ferita. Vulnerabile: Che può essere ferito (Corriere della sera). Mi salta all’occhio il poter essere. Vulnerabile dunque non è colui che è ferito e non si può muovere. Ma colui che può essere ferito. E’ possibile, ma non è detto che questo avvenga. La vulnerabilità dunque, non è uno stato. Più si è flessibili e adattabili e meno questa ferita lacera e lascia inermi.
Bailey come la sua mamma e il suo papà non si sono fatti ingabbiare dalla categoria handicap con il rischio di perdere di vista le risorse. Sono riusciti a trasformare la vulnerabilità in resilienza.
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