15 Lug 2015
Due numeri in meno
“Lo sforzo…va bene per chi è stitico”
Jorge Bucay
Un uomo entra in un calzaturificio e un gentile commesso gli si avvicina:
«In che cosa posso servirla, signore?». «Vorrei un paio di scarpe nere come quelle in vetrina.» «Certo, signore. Vediamo: il numero che cerca dev’essere il quarantuno, vero?» «No. Mi dia il trentanove, per favore.» «Scusi, signore. Sono vent’anni che lavoro in questo campo e il suo numero dev’essere il quarantuno. Forse il quaranta, ma non il trentanove.» «Il trentanove, per favore.» «Scusi, permette che le misuri il piede?» «Faccia come vuole, ma io voglio un paio di scarpe numero trentanove.» Il venditore tira fuori da un cassetto quello strano aggeggio che si usa nei negozi di
scarpe per misurare i piedi, ed esclama tutto soddisfatto: «Ha visto? Glielo dicevo io: quarantuno!«Senta un po’, chi è che paga le scarpe, io o lei?» «Lei.» «Bene. Allora mi vuole dare il trentanove?» Il venditore, rassegnato e sorpreso, va a prendere un paio di scarpe numero trentanove. Lungo il tragitto ha un’illuminazione: le scarpe non sono per quell’uomo, le vorrà certamente regalare. «Signore, eccole qui: trentanove, e nere.» «Mi dà un calzascarpe?» «Intende metterle?» «Sì, certo.» «Sono per lei?» «Sì! Mi dà un calzascarpe?» Il calzascarpe è indispensabile per riuscire a far entrare il piede in quella scarpa. Dopo vari tentativi e posizioni ridicolissime, il cliente riesce a far entrare tutto il piede nella scarpa. Tra esclamazioni di dolore e grugniti muove qualche passo sul tappeto, con sempre maggior difficoltà. «Va bene. Le prendo.»
Il venditore sente male ai propri piedi pensando alle dita del cliente compresse dentro alle scarpe numero trentanove. «Faccio un pacchetto?» «No, grazie. Le tengo su.» Il cliente esce dal negozio e attraversa alla bell’e meglio i tre isolati che lo separano dal posto di lavoro. Fa il cassiere in una banca. Alle quattro del pomeriggio, dopo avere passato più di sei ore in piedi con quelle scarpe infilate, ha il viso stravolto, gli occhi arrossati e le lacrime scendono copiose dai suoi occhi. Il collega della cassa a fianco l’ha osservato per tutto il pomeriggio ed è preoccupato per lui. «Che cosa c’è? Ti senti male?» «No. Sono le scarpe.» «Che cos’hanno le scarpe?» «Sono strette.» «Come mai? Si sono bagnate?» «No. Sono due numeri in meno del mio piede.» «Di chi sono?» «Sono mie.» «Non capisco. Non ti fanno male i piedi?» «Mi fanno male da morire, i piedi.» «E allora?» «Ti spiego» dice, deglutendo. «La vita non mi dà grandi soddisfazioni. In realtà, negli ultimi tempi, sono pochi i momenti gradevoli.» «E allora?» «Queste scarpe mi fanno male da morire. Soffro terribilmente, è vero… Ma tra qualche ora, quando arriverò a casa e me le toglierò, t’immagini il piacere? Dio che piacere! Che piacere!
[…]
Occorre disinnescare una trappola che ci hanno inculcato nel cervello fin da quando eravamo piccoli…
Ha valore solo quello che viene conquistato con lo sforzo.
Questo è il nostro percorso educativo. […]
Questa storia estremizza un pò, è vero. Ma…Pensaci bene, nella vita ci sono patimenti che ci infliggiamo a causa dell’educazione che non sono necessari, che seguono semplicemente una falsa educazione.
Che cosa avrebbero pensato gli altri se non fossi andato a quella riunione? Se non dimostravo gratitudine a quell’uomo che consideravo una creatura spregevole? Se rispondevo no ad una richiesta semplicemente perché non mi andava di soddisfarla? Se mi concedevo il lusso di lavorare quattro giorni alla settimana rinunciando a guadagnare più soldi? Se andavo in giro senza essermi fatto la barba? Se mi rifiutavo di smettere di fumare finché non mi fosse venuto naturale? Se…
Bibliografia
Jorge Bucay, M. Finassi Parolo – Lascia che ti racconti: Storie per imparare a vivere (BUR Psicologia e società)
27 Lug 2015
Educare alla resilienza
Stamattina ero in fila sull’Asse mediano direzione Cagliari e ascoltavo uno dei tanti notiziari. Mi ha colpito la scomparsa della figlia di Whitney Houston.
“Bobby Kristina non si era mai realmente ripresa dal dolore e dallo shock della morte della madre, aveva 22 anni”.
Mi ripetevo…Morta…Si è lasciata morire a 22 anni. Non ci posso credere. Non ci voglio pensare!
Resilienza Mancava di Resilienza.
Costruite giorno dopo giorno nei vostri bambini, ragazzi la capacità di affrontare le brutture della vita. Insegnategli che a tutto c’è rimedio, anche alla morte di una persona cara. In che modo? Dalle piccole e stupide cose che ti accadono tutti i giorni. Si brucia la torta. Pazienza! Togliamo la parte bruciata e facciamo una crema e la farciamo insieme. Si rompe il phon lo porto ad aggiustare. Non si può aggiustare? Meglio così, compro quello galattico. Dalle stupide e piccole cose. Si vabbeh! Ma vuoi mettere la morte di una persona con una torta bruciata…Ovviamente No.
Voglio mettere… allenarsi e allenare i nostri figli a trovare valide e diverse soluzioni a ciò che capita nella vita. Questo sì!
La resilienza è una “ripartenza. Un’inversione di tendenza a seguito di un “rimbalzo” come indica la voce latina “resalio”.
Resilienza” è un termine per lo più attribuito alla metallurgia, infatti è un termine derivato dalla scienza dei materiali che indica la proprietà che alcuni materiali hanno di conservare la propria struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione. Emmy Werner lo usò per la prima volta nell’ambito di una ricerca sui neonati dell’isola hawaiiana di Kauai, dove aveva riscontrato l’attitudine di far fronte alle difficoltà della vita in contesti sociali sfavorevoli
La resilienza in psicologia è l’abilità di rialzarsi dopo una crisi, più flessibili, più consapevoli e più equilibrati di prima; è l’istinto di superare le sofferenze senza soccombere, traendo apprendimento da quanto patito. E’ un processo di rielaborazione cognitiva, emotiva, comportamentale e spirituale della rappresentazione del dolore che porta a fronteggiare perdite, traumi, lutti con la volontà di ricominciare a costruire, anche se con poche energie.
Si tratta di incontrare la sofferenza, accettarla e trovare forme di elaborazione che permettano alla persona di integrare le parti luce con le parti buie, le risorse con i limiti, e comprendere che l’esperienza traumatica, che rimane scritta nel profondo dell’animo, può divenire occasione formativa. Non significa urlare al mondo quanto sono contento di come sto soffrendo, No, questo no.
Guardare in faccia la realtà, la sofferenza. Trovare risorse, nuove e flessibili per affrontare ciò che di traumatico e doloroso è accaduto. Questo sì!
Ciascuno di noi conoscendo se stesso, può utilizzare risorse che non sapeva di possedere. Attraverso la resilienza non si va verso il dolore e l’autodistruzione, ma si va verso una diversa consapevolezza di se.
Una psicologa, Edith E. Grotberg, studiosa di resilienza, ha proposto un modello per superare le situazioni traumatiche fondato su: I have, I am, I can. Io ho risorse, io sono, io posso affrontare.
Ciascuno di noi possiede questo atteggiamento sin dalla nascita lo dobbiamo solo affinare e sviluppare come hanno fatto Giusy Versace, Annalisa Minetti e tante persone comuni come i genitori della tabaccaia uccisa ad Asti. Ciascuno con la sua modalità che gli permette di andare avanti nonostante ciò che gli è accaduto. meccanismi comportamentali che non sono più funzionali alla vita.
Bibliografia
Sitografia
http://www.doppiozero.com/materiali/chefare/resilienza-larte-di-adattarsi
http://www.nonterapia.ch/tre-eventi-eccezionali-sabato-7-febbraio-a-milano-a-partire-dalle-18-30/
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-06-24/sei-resiliente-sai-far-fronte-e-reagire-avversita-151943.shtml?uuid=ABnjKQUB
http://www.nonterapia.ch/tre-eventi-eccezionali-sabato-7-febbraio-a-milano-a-partire-dalle-18-30/