8 Mar 2015
Vi spiego gli attacchi di panico
Negli ultimi anni ho iniziato a soffrire di attacchi di panico ed ho capito che spiegare come ci si sente a chi non lo ha mai provato è molto più difficile di quanto sembri. Molte persone non sanno neanche di cosa sto parlando, a meno che non lo abbiano provato sulla propria pelle.
È dura spiegare che ti senti come se stessi per morire (o come se dovessi restare in quella condizione di panico per sempre) senza sembrare pazzo, anzi cercando di dare un senso all’episodio di cui parli. Durante un attacco di panico è difficile riconoscere ciò di cui hai bisogno; a volte, non riesci neanche ad accettare che stia capitando proprio a te. Vorrei aiutare gli altri a capire cosa succede quando arriva un attacco di panico (anche se cambia da persona a persona). Ecco la spiegazione migliore che sono riuscita a trovare:
È come essere inghiottito da tutto ciò che ti circonda.
È come se, a poco a poco, ogni stimolo esterno prendesse il sopravvento sulla tua mente e sul tuo corpo. Un suono, una sensazione, un’immagine diventano così travolgenti che un singolo stimolo esterno diventa la tua sola realtà. Quest’unico elemento si trasforma nel solo pensiero che hai in testa e attraversa tutte le tue sensazioni fisiche ed emotive.
La musica ti penetra nelle orecchie e resta lì “bloccata” nel tuo cervello, preme contro la fronte e contro il tuo corpo, che sembra apparentemente “svuotato” e appesantito allo stesso tempo. Le voci e le conversazioni invadono i tuoi pensieri e riecheggiano nella testa.
Gli spazi si fanno così piccoli che ti senti immobilizzato Ogni posto diventa quello sbagliato in cui trovarsi, mentre si fa più forte il bisogno di scappare, senza sapere dove.
Riesci perfino a “vederti” dall’esterno, mentre sei in trappola, come se non fossi tu.
Il tremore si diffonde dalle mani ai piedi, finché le tue gambe sono così instabili che a malapena riescono a sorreggerti. Il cuore batte all’impazzata e lo stomaco si chiude fino al punto che non sai se vomitare o esplodere. La tua visuale limitata si annebbia sempre di più e non riesci più a mettere a fuoco o a vedere. La testa è leggera come se stesse per volare via o per staccarsi e cadere. I tuoi polmoni sembrano rimpicciolirsi e trattengono a stento l’ossigeno necessario a restare cosciente.
La paura di restare in questa condizione per sempre travolge tutti gli altri pensieri razionali. Non capisci cosa ti stia accadendo, ma sei sicuro che non ci siano possibilità che finisca.
Sei convinto che quell’assurdo panico non lascerà mai più la tua testa e il tuo corpo.
Questa è la migliore spiegazione che riesco a fornire. Ma a volte è difficile capire che, durante un attacco di panico, un soggetto potrebbe semplicemente sentire l’urgenza di fuggire o il bisogno di stare da solo mentre altri potrebbero peggiorare se lasciati soli e hanno bisogno che qualcuno resti accanto a loro. Gli attacchi di panico possono essere anche innescati da circostanze specifiche e possono accadere all’improvviso, senza alcuna ragione apparente. Cambiano da persona a persona e ogni attacco è diverso dall’altro.
Per leggere l’articolo originale vai su The Huffington Post Usa. Se vuoi vedere il post tradotto dall’inglese da Milena Sanfilippo,
15 Lug 2015
Due numeri in meno
“Lo sforzo…va bene per chi è stitico”
Jorge Bucay
Un uomo entra in un calzaturificio e un gentile commesso gli si avvicina:
«In che cosa posso servirla, signore?». «Vorrei un paio di scarpe nere come quelle in vetrina.» «Certo, signore. Vediamo: il numero che cerca dev’essere il quarantuno, vero?» «No. Mi dia il trentanove, per favore.» «Scusi, signore. Sono vent’anni che lavoro in questo campo e il suo numero dev’essere il quarantuno. Forse il quaranta, ma non il trentanove.» «Il trentanove, per favore.» «Scusi, permette che le misuri il piede?» «Faccia come vuole, ma io voglio un paio di scarpe numero trentanove.» Il venditore tira fuori da un cassetto quello strano aggeggio che si usa nei negozi di
scarpe per misurare i piedi, ed esclama tutto soddisfatto: «Ha visto? Glielo dicevo io: quarantuno!«Senta un po’, chi è che paga le scarpe, io o lei?» «Lei.» «Bene. Allora mi vuole dare il trentanove?» Il venditore, rassegnato e sorpreso, va a prendere un paio di scarpe numero trentanove. Lungo il tragitto ha un’illuminazione: le scarpe non sono per quell’uomo, le vorrà certamente regalare. «Signore, eccole qui: trentanove, e nere.» «Mi dà un calzascarpe?» «Intende metterle?» «Sì, certo.» «Sono per lei?» «Sì! Mi dà un calzascarpe?» Il calzascarpe è indispensabile per riuscire a far entrare il piede in quella scarpa. Dopo vari tentativi e posizioni ridicolissime, il cliente riesce a far entrare tutto il piede nella scarpa. Tra esclamazioni di dolore e grugniti muove qualche passo sul tappeto, con sempre maggior difficoltà. «Va bene. Le prendo.»
Il venditore sente male ai propri piedi pensando alle dita del cliente compresse dentro alle scarpe numero trentanove. «Faccio un pacchetto?» «No, grazie. Le tengo su.» Il cliente esce dal negozio e attraversa alla bell’e meglio i tre isolati che lo separano dal posto di lavoro. Fa il cassiere in una banca. Alle quattro del pomeriggio, dopo avere passato più di sei ore in piedi con quelle scarpe infilate, ha il viso stravolto, gli occhi arrossati e le lacrime scendono copiose dai suoi occhi. Il collega della cassa a fianco l’ha osservato per tutto il pomeriggio ed è preoccupato per lui. «Che cosa c’è? Ti senti male?» «No. Sono le scarpe.» «Che cos’hanno le scarpe?» «Sono strette.» «Come mai? Si sono bagnate?» «No. Sono due numeri in meno del mio piede.» «Di chi sono?» «Sono mie.» «Non capisco. Non ti fanno male i piedi?» «Mi fanno male da morire, i piedi.» «E allora?» «Ti spiego» dice, deglutendo. «La vita non mi dà grandi soddisfazioni. In realtà, negli ultimi tempi, sono pochi i momenti gradevoli.» «E allora?» «Queste scarpe mi fanno male da morire. Soffro terribilmente, è vero… Ma tra qualche ora, quando arriverò a casa e me le toglierò, t’immagini il piacere? Dio che piacere! Che piacere!
[…]
Occorre disinnescare una trappola che ci hanno inculcato nel cervello fin da quando eravamo piccoli…
Ha valore solo quello che viene conquistato con lo sforzo.
Questo è il nostro percorso educativo. […]
Questa storia estremizza un pò, è vero. Ma…Pensaci bene, nella vita ci sono patimenti che ci infliggiamo a causa dell’educazione che non sono necessari, che seguono semplicemente una falsa educazione.
Che cosa avrebbero pensato gli altri se non fossi andato a quella riunione? Se non dimostravo gratitudine a quell’uomo che consideravo una creatura spregevole? Se rispondevo no ad una richiesta semplicemente perché non mi andava di soddisfarla? Se mi concedevo il lusso di lavorare quattro giorni alla settimana rinunciando a guadagnare più soldi? Se andavo in giro senza essermi fatto la barba? Se mi rifiutavo di smettere di fumare finché non mi fosse venuto naturale? Se…
Bibliografia
Jorge Bucay, M. Finassi Parolo – Lascia che ti racconti: Storie per imparare a vivere (BUR Psicologia e società)