28 Apr 2020
I quattro accordi di Don Miguel Ruiz
Oggi ho terminato di leggere I quattro accordi di Don Miguel Ruiz. Guardando la foto qui in alto, direi che la frase del Calendario filosofico cade a fagiolo! Comunque…Le opere di questo autore hanno venduto nove milioni di copie e sono state tradotte in 34 lingue…Mi sono fatta prendere la mano e ho acquistato tutti quelli trovati in libreria dello stesso autore. E’ un libro che mi è stato consigliato. Ti dico subito che cosa porterò con me.
Porterò con me il significato profondo dei quattro accordi, che riescono a racchiudere delle linee guida per affrontare ciò che ci capita senza giudizio e aspettative. Liberi! Liberi da credenze che non sono nostre. Siamo stati educati e addomesticati, alcune volte ammaestrati. Mi fa venire in mente la storia dell’elefantino del circo che spesso racconto in terapia. Se la vuoi leggere cliccaci sopra.
Gli accordi che ci fanno soffrire oggi, sono il frutto di credenze e valori dei nostri genitori, dei nostri vicini di casa, dei nostri amici, di nostro marito o di nostra moglie, di persone che abbiamo incontrato. Li abbiamo abbracciati in modo innocente perché in quel frangente non avevamo altra scelta. Ora che siamo guerrieri/adulti possiamo scegliere di essere liberi con saggezza anziché con innocenza
Questo libro mi piace perché parla di cambiamento e pone l’attenzione sul primo passo verso il cambiamento che è la consapevolezza. Consiglia di fare una sorta di inventario dei valori e delle credenze e di coltivare solo quelle che vi rendono felici e di eliminare quelle limitanti, che si basano sulla paura o la rabbia.
Introduce un altro concetto. Fai, agisci. Chi non fa non sbaglia mai.
Tutto ciò che hai imparato da quando sei nato sino ad ora scrivere, guidare, usare il computer, il telefono, suonare uno strumento, usare un macchinario, camminare, parlare, guidare l’auto, l’hai imparata attraverso la ripetizione. Solo con la ripetizione continua, sei riuscito a dominare queste attività, a sentirti capace ed efficace.
Ruiz dice di praticare i 4 accordi, senza stancarsi Apparentemente è semplice ciò che ti chiede di fare. Nel corso del tempo ti renderai conto che le vecchie abitudini cercheranno di prendere il sopravvento. Sarà la pratica a fare la differenza. Le abitudini errate si indeboliranno nel corso del tempo.
Smettila di giudicarti, di sentirti in colpa o di punirti se non riesci alla perfezione le prime volte e anche le successive.
Fai del tuo meglio. Abbi pazienza, la tua condizione non cambierà subito. Ci vogliono tante ripetizioni, tante quante ne hai fatte per instaurare una cattiva abitudine.
Inoltre mi ha fatto riflettere sul significato di rinascita, di resurrezione. A volte non riesco a dare un significato ad alcune feste religiose. Premetto che non sono credente, ma penso che in alcuni scritti ci siano perle di saggezza. Ad esempio la Pasqua per i cristiani che significa? Vorrei festeggiarla anche io con la stessa gioia di un cristiano. Ovviamente la mia considerazione è assolutamente priva di un significato religioso. Risorgere vuol dire sollevarsi dalla morte…Embè! Vuol dire essere come i bambini. Tabula rasa. Sai che significa? Da dove proviene questo concetto? Da Aristotele che parlava del nostro intelletto come una tavoletta di cera che poteva essere raschiata per poterci riscrivere sopra. Risorgere significa essere come i bambini, liberi e selvaggi ma con una differenza liberi con saggezza anziché con innocenza. L’anno scorso la mia collega si è comportata male! Col ca…che le porgo l’altra guancia. Tuttavia penso a quanto sarebbe bello incontrare altri colleghi con cui collaborare. Questo libro parla anche di perdono.
Insomma i prossimi giorni metterò in pratica i quattro accordi. Provare no! Fare, o non fare! Non c’è provare! E se ce lo dice Yoda in Guerre Stellari…
Sii impeccabile con la parola
Non prendere nulla in modo personale
Non supporre nulla
Fai sempre del tuo meglio
Cosa non porterò con me? Il lessico sciamanico
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E NON
Don Miguel Ruiz – I quattro accordi
https://it.wikipedia.org/wiki/Tabula_rasa
Star Wars. Episodio V. L’impero colpisce ancora
28 Apr 2020
La triste storia dell’elefantino tratta da Lascia che ti racconti: Storie per imparare a vivere
Quando ero piccolo adoravo il circo, mi piacevano soprattutto gli animali.
Ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini.
Durante lo spettacolo quel bestione faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune…
Ma dopo il suo numero, e fino a un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato a un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe. Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri. E anche se la catena era grossa e forte, mi pareva ovvio che un animale in grado di sradicare un albero potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire.
Era davvero un bel mistero.
Che cosa lo teneva legato, allora? Perché non scappava? Quando avevo cinque o sei anni nutrivo ancora fiducia nella saggezza dei grandi. Allora chiesi a un maestro, a un padre o a uno zio di risolvere il mistero dell’elefante. Qualcuno di loro mi spiegò che l’elefante non scappava perché era ammaestrato. Allora posi la domanda ovvia: «Se è ammaestrato, perché lo incatenano?». Non ricordo di avere ricevuto alcuna risposta coerente. Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto, e ci pensavo soltanto quando mi imbattevo in altre persone che si erano poste la stessa domanda.
Per mia fortuna, qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato abbastanza saggio da trovare la risposta giusta: L’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.
Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato al paletto. Sono sicuro che, in quel momento, l’elefantino provò a spingere, a tirare e sudava nel tentativo di liberarsi. Ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per lui. Lo vedevo addormentarsi sfinito, e il giorno dopo provarci di nuovo, e così il giorno dopo e quello dopo ancora…
Finché un giorno, un giorno terribile per la sua storia, l’animale accettò l’impotenza rassegnandosi al proprio destino. L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perché, poveretto, crede di non poterlo fare. Reca impresso il ricordo dell’impotenza sperimentata subito dopo la nascita. E il brutto è che non è mai più ritornato seriamente su quel ricordo. E non ha mai più messo alla prova la sua forza, mai più…
da “Lascia che ti racconti: Storie per imparare a vivere (BUR Psicologia e società)” di Jorge Bucay, M. Finassi Parolo