11 Feb 2016
Blog
18 Gen 2016
L’importanza dell’espulsione
Più la mente è tranquilla, più fai chiarezza. Hai notato che quando sei assorto nei tuoi pensieri, nel fare qualcosa di interessante, che richiede attenzione e che sai fare, la tua mente si calma. Non so se hai notato… più tenti di respingere il dolore, le preoccupazioni, più crei tensione.
E in un modo o nell’altro quella tensione deve uscire fuori (mi vengono in mente tutte metafore schifide da farti…Oh ma se serve per la consapevolezza questo ed altro.
Pensa alla numero due! All’innominata! Alla cacca :). Hai capito bene a quella cosa che fa puzza che facciamo tutti, ma che alcune donne non fanno o se la fanno la loro non puzza. Immagina il casino se non uscisse, o se tu tentassi di tenerla dentro. Stitichezza, mal di pancia, ecc…ecc…Ecco i tuoi pensieri disturbanti, le preoccupazioni sono come la cacca. Devono uscire. O come il respiro entra ossigeno che serve per vivere e il nostro corpo restituisce anidride carbonica e ancora pensa alla pelle. Tutto ciò che entra deve per forza uscire, trasformato , ma deve uscire).
Il training autogeno, la meditazione, la mindfulness, l’attenzione al respiro sono strumenti che ti permettono di fare questo. Tutte tecniche che non combattono i pensieri che si avvinghiano alla tua mente.
Anzi… Osservazione non giudicante, Concentrazione passiva, e Allenamento.
Qualcuno potrà dire: Aria fritta. L’ho provato e non ci credo.
Ed io controbatto con un noto slogan “Studi scientifici lo dimostrano”, fortunatamente la psicologia non si avvale di assiomi o dogmi, ma di statistica inferenziale, che è una cosa fighissima e si discosta dalle opinioni che come tali sono opinabili.
L’allenamento lo lascio in sospeso. Prima o poi scrivo qualcosa anche su di lui.
30 Lug 2015
Una riflessione su vulnerabilità vs resilienza
Non ci può essere resilienza senza vulnerabilità.
La vulnerabilità è l’altra faccia della medaglia.
Ieri mattina leggevo i vari quotidiani online e la notizia che più mi ha colpito è stata quella di
Bailey: 8 anni e una paralisi cerebrale Finisce il triathlon e corona il sogno
Quanta vulnerabilità in Bailey eppure quanta resilienza. Questo bambino è riuscito ad andare oltre il suo personale dramma, come i suoi genitori che facevano il tifo per lui. La vita sferra un colpo e Bailey risponde con altrettanta forza, tenacia e umiltà.
Vulnerabilità proviene da vulnus, ferita. Vulnerabile: Che può essere ferito (Corriere della sera). Mi salta all’occhio il poter essere. Vulnerabile dunque non è colui che è ferito e non si può muovere. Ma colui che può essere ferito. E’ possibile, ma non è detto che questo avvenga. La vulnerabilità dunque, non è uno stato. Più si è flessibili e adattabili e meno questa ferita lacera e lascia inermi.
Bailey come la sua mamma e il suo papà non si sono fatti ingabbiare dalla categoria handicap con il rischio di perdere di vista le risorse. Sono riusciti a trasformare la vulnerabilità in resilienza.
Se vuoi approfondire su come educare alla resilienza te stesso e i tuoi figli Clicca qui
30 Lug 2015
A proposito di resilienza
“Voglio quella macchinina!!!”
“No, niente macchinina!”
“Sì!”
“No!”
“Sììììììììììììì!”
“E va bene…vuoi la macchinina? Te la compro”.
Tuo figlio al supermercato vuole una macchinina da 2 € e dopo il tuo no comincia a fare una scenata. Cedi per evitarla e gliela compri. Ecco, in questo modo non gli stai insegnando la resilienza.
Che cos’è la resilienza?
È, in breve, la capacità di reagire alle difficoltà e alle sfide della vita, trasformandole in opportunità e andando avanti nonostante le delusioni e le frustrazioni. Si tratta di una risorsa indispensabile, insieme all’autostima, per crescere affrontando la vita a testa alta.
Una persona dotata di resilienza è una persona più felice. Vorresti aiutare tuo figlio a diventarlo?
Vediamo come:
1. Dai a tuo figlio la possibilità di provare a fare nuove cose, anche se ti sembra che siano troppo difficili per lui, dall’arrampicarsi al parco giochi all’aprire un barattolo.
2. Incoraggialo a rendersi utile agli altri e a “servirli”, per esempio dando ad altri bambini la precedenza quando c’è del cibo da condividere.
3. Fai in modo che tuo figlio impari ad aspettare con pazienza il suo turno, al ristorante o alle giostre per esempio, senza avere nulla con cui intrattenersi (tablet, videogiochi, cibo…)
4. Fai capire a tuo figlio che è molto meglio prendere buone decisioni che avranno effetto a lungo termine, anche se non sono le più semplici; per esempio mangiare cibo sano, anche se si impiega più tempo a prepararlo.
5. Non dare a tuo figlio qualsiasi cosa lui desideri – giocattolo, cibo, vestiti – soltanto perché “ce l’hanno tutti”.
6. Insegna a tuo figlio che le cose materiali sono soltanto “cose” e che non soddisfano il nostro desiderio di felicità. Incoraggialo, per esempio, a regalare periodicamente alcune delle sue cose ad associazioni benefiche.
7. Dagli modo di aiutare i bambini più piccoli di lui e di intrattenerli, per esempio sfogliando con loro un libro e mostrandogli le figure.
8. Insegna a tuo figlio ad affrontare le difficoltà e gli ostacoli, non a evitarli. Ripetigli ad esempio frasi come “Passerà anche questa” o “Le sfide ti rendono più forte”.
9. Fai in modo che tuo figlio mantenga un atteggiamento positivo verso i suoi impegni e i compiti scolastici, trovando un modo divertente di affrontarli.
10. Insegna a tuo figlio ad aspettare il pasto principale, senza mangiare snack in continuazione.
11. Raccomanda a tuo figlio di essere paziente quando il fratellino lo disturba nei suoi giochi, dimostrandogli che le relazioni sono più importanti delle cose.
12. Aiutalo a esercitare l‘autocontrollo riguardo all’uso degli strumenti elettronici, dimostrandogli che anche tu ne limiti l’uso a determinati momenti.
13. Permetti a tuo figlio di affrontare le diverse condizioni climatiche vestendosi in modo adeguato, invece di fuggirle.
14. Resisti alla tentazione di accorrere subito in aiuto di tuo figlio quando ha difficoltà nel fare qualcosa, per esempio vestirsi o mangiare. Lascialo provare da solo.
15. Insegna a tuo figlio a non interrompere gli altri quando parlano e a rispettare il proprio turno.
16. Offri a tuo figlio molte occasioni per condividere le sue cose e il suo cibo con gli altri, insegnandogli a essere generoso.
17. Fai vivere a tuo figlio nuove esperienze che lo facciano uscire dalla sua “zona di comfort”, per esempio giocare con bambini che parlano un’altra lingua o assaggiare nuovi piatti.
18. Non cedere quando hai fissato un limite importante, riguardo per esempio alla quantità di tempo da trascorrere davanti alla tv, al tablet o a quanti biscotti mangiare.
19. Quando tuo figlio ha bisogno di trovare qualcosa, lascia che lo cerchi.
20. Insegna a tuo figlio il prima possibile a prendersi cura dei suoi abiti, dividendoli, mettendoli a posto, lavandoli a mano e stendendoli.
21. Incoraggia tuo figlio a fare del suo meglio a scuola, anche quando questo richiede qualche sacrificio.
22. Esigi che tuo figlio si prenda le sue responsabilità e svolga i suoi doveri, come rifare il letto, fare il bagno, dar da mangiare agli animali domestici, lavarsi i denti.
23. Insegnagli ad essere grato per ciò che ha e a trarre il meglio da ogni situazione.
24. Lascia che tuo figlio viva in pieno i propri sentimenti, anche quando sono dolorosi o difficili da sopportare, ripetendogli anche frasi come “Ogni sfida mi rende più forte”, “Dopo la tempesta arriva sempre il sereno”. Non sminuire mai le sue emozioni, ma aiutalo a riconoscerle e affrontarle.
25. Fai in modo che tuo figlio possa apprezzare maggiormente la sua vita incoraggiandolo a fare volontariato per associazioni benefiche, in cui possa rendersi conto che esistono persone che non hanno il suo stesso stile di vita.
Naturalmente, ogni bambino è unico e avrà bisogno di diversi strumenti, in tempi diversi, per imparare ad affrontare in modo efficace la vita e le sue sfide. Trovare un equilibrio tra il proteggerlo e il renderlo autonomo è un dovere di tutti i genitori, e un diritto per ogni bambino
Articolo da Mamme Imperfette
Se vuoi approfondire leggi anche Educare alla resilienza
27 Lug 2015
Educare alla resilienza
Stamattina ero in fila sull’Asse mediano direzione Cagliari e ascoltavo uno dei tanti notiziari. Mi ha colpito la scomparsa della figlia di Whitney Houston.
“Bobby Kristina non si era mai realmente ripresa dal dolore e dallo shock della morte della madre, aveva 22 anni”.
Mi ripetevo…Morta…Si è lasciata morire a 22 anni. Non ci posso credere. Non ci voglio pensare!
Resilienza Mancava di Resilienza.
Costruite giorno dopo giorno nei vostri bambini, ragazzi la capacità di affrontare le brutture della vita. Insegnategli che a tutto c’è rimedio, anche alla morte di una persona cara. In che modo? Dalle piccole e stupide cose che ti accadono tutti i giorni. Si brucia la torta. Pazienza! Togliamo la parte bruciata e facciamo una crema e la farciamo insieme. Si rompe il phon lo porto ad aggiustare. Non si può aggiustare? Meglio così, compro quello galattico. Dalle stupide e piccole cose. Si vabbeh! Ma vuoi mettere la morte di una persona con una torta bruciata…Ovviamente No.
Voglio mettere… allenarsi e allenare i nostri figli a trovare valide e diverse soluzioni a ciò che capita nella vita. Questo sì!
La resilienza è una “ripartenza. Un’inversione di tendenza a seguito di un “rimbalzo” come indica la voce latina “resalio”.
Resilienza” è un termine per lo più attribuito alla metallurgia, infatti è un termine derivato dalla scienza dei materiali che indica la proprietà che alcuni materiali hanno di conservare la propria struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione. Emmy Werner lo usò per la prima volta nell’ambito di una ricerca sui neonati dell’isola hawaiiana di Kauai, dove aveva riscontrato l’attitudine di far fronte alle difficoltà della vita in contesti sociali sfavorevoli
La resilienza in psicologia è l’abilità di rialzarsi dopo una crisi, più flessibili, più consapevoli e più equilibrati di prima; è l’istinto di superare le sofferenze senza soccombere, traendo apprendimento da quanto patito. E’ un processo di rielaborazione cognitiva, emotiva, comportamentale e spirituale della rappresentazione del dolore che porta a fronteggiare perdite, traumi, lutti con la volontà di ricominciare a costruire, anche se con poche energie.
Si tratta di incontrare la sofferenza, accettarla e trovare forme di elaborazione che permettano alla persona di integrare le parti luce con le parti buie, le risorse con i limiti, e comprendere che l’esperienza traumatica, che rimane scritta nel profondo dell’animo, può divenire occasione formativa. Non significa urlare al mondo quanto sono contento di come sto soffrendo, No, questo no.
Guardare in faccia la realtà, la sofferenza. Trovare risorse, nuove e flessibili per affrontare ciò che di traumatico e doloroso è accaduto. Questo sì!
Ciascuno di noi conoscendo se stesso, può utilizzare risorse che non sapeva di possedere. Attraverso la resilienza non si va verso il dolore e l’autodistruzione, ma si va verso una diversa consapevolezza di se.
Una psicologa, Edith E. Grotberg, studiosa di resilienza, ha proposto un modello per superare le situazioni traumatiche fondato su: I have, I am, I can. Io ho risorse, io sono, io posso affrontare.
Ciascuno di noi possiede questo atteggiamento sin dalla nascita lo dobbiamo solo affinare e sviluppare come hanno fatto Giusy Versace, Annalisa Minetti e tante persone comuni come i genitori della tabaccaia uccisa ad Asti. Ciascuno con la sua modalità che gli permette di andare avanti nonostante ciò che gli è accaduto. meccanismi comportamentali che non sono più funzionali alla vita.
Bibliografia
- Elena Malaguti – Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi – Ed Erickson (2005)
- Giorgio Nardone, Alessandro Salvini – Dizionario Internazionale di psicoterapia – Ed Garzanti (2013)
Sitografia
http://www.doppiozero.com/materiali/chefare/resilienza-larte-di-adattarsi
http://www.nonterapia.ch/tre-eventi-eccezionali-sabato-7-febbraio-a-milano-a-partire-dalle-18-30/
http://www.nonterapia.ch/tre-eventi-eccezionali-sabato-7-febbraio-a-milano-a-partire-dalle-18-30/
2 Lug 2015
Il mattone boomerang
C’era una volta un uomo che andava in giro con un mattone in mano.
Aveva deciso che ogni volta che qualcuno lo avesse fatto arrabbiare gli avrebbe lanciato addosso il mattone.
Era un metodo un po’ rozzo, però sembrava efficace, no?
Un giorno s’imbatté in un amico prepotente che gli si rivolse in malo modo.
Fedele alla propria decisione, l’uomo afferrò il mattone e glielo lanciò addosso.
Non ricordo se l’avesse colpito. Ma sta di fatto chi il successivo recupero del mattone gli parve disagevole.
Decise allora di migliorare il “Sistema di Autorecupero del Mattone” come lo chiamava lui.
Legò un cordino lungo un metro attorno al mattone e uscì di casa.
Il mattone non avrebbe potuto andare troppo lontano, ma anche il nuovo metodo aveva alcuni inconvenienti: in effetti il destinatario delle ostilità doveva trovarsi a meno di un metro di distanza e poi dopo averlo scagliato il mattone, l’uomo doveva prendersi la briga di raccogliere il cordino, che tra l’altro sovente si aggrovigliava e si impigliava, con conseguente disagio.
Allora l’uomo inventò il ” Sistema Mattone III”.
Protagonista era sempre il solito mattone ma il nuovo sistema prevedeva una molla al posto del cordino.
Ora il mattone poteva essere scagliato più volte e sarebbe sempre tornato indietro da solo pensò l’uomo.
Uscì di casa e, nel momento in cui fu vittima della prima aggressione, lanciò il mattone.
Ma non colpì l’obiettivo perché, quando la molla entrò in azione, il mattone schizzò all’indietro andando a finire proprio sulla testa dell’uomo che lo aveva lanciato.
Ci provò un altra volta, e si prese una seconda mattonata perché aveva calcolato male le distanze.
La terza mattonata se la prese perché aveva calcolato male i tempi.
La quarta fu particolare perché, dopo aver deciso di lanciare il mattone contro la vittima, aveva cercato di proteggerla con il risultato di prendersi di nuovo il mattone in testa.
Si fece un bernoccolo enorme…
Nessuno seppe perché non riuscisse mai a dare una mattonata a qualcuno: se per via dei colpi ricevuti o per qualche deformazione del suo animo.
Tutti i colpi si ritorcevano sempre contro di lui.
Questo meccanismo si chiama retroflessione: consiste nel proteggere gli altri dalla nostra aggressività, malumore, rabbia che si rivoltano contro noi stessi mediante gesti concreti di auto – aggressione come autolesionarsi, ingozzarsi di cibo, assumere droghe, correre rischi inutili; altre volte mediante emozioni o sentimenti camuffati come depressione, senso di colpa, somatizzazione. Costruiamo una barriera per proteggere l’altro dalla nostra aggressività. Questa barriera si comporta come una molla. La rabbia emozione priva di valenza positiva o negativa si è attivata e da qualche parte deve sfociare e si rivolta contro noi stessi, attraverso i meccanismi sopra descritti.
L’ideale sarebbe un utopistico essere illuminato che non si arrabbia mai, lucido e solido.
Probabile? Forse…Boh…Non saprei.
Comunque una volta che abbiamo sperimentato la rabbia, l’ira o il fastidio. Azione!
Altrimenti presto o tardi l’unico risultato che otterremo sarà di arrabbiarci con noi stessi.
Bibliografia
Jorge Bucay – Lascia che ti racconti: Storie per imparare a vivere
16 Giu 2015
La vendetta è tagliarsi le palle per fare un dispetto alla moglie
Secondo Etienne Mullet è meglio il perdono. La strada del perdono è più difficile e tortuosa della vendetta. Ma la vendetta mette a dura prova organismo e cervello, soprattutto se questo risentimento perdura nel tempo.
Il sentimento della vendetta è naturale. Subito dopo un’offesa, a volte, è normale stare male. Meno sano è covare rabbia, risentimento, sentimenti di vendetta per 20 anni. Il sentimento di vendetta che perdura nel tempo rischia di minare la salute psicofisica dell’individuo, fino a causare ansia e depressione.
Etienne Mullet sostiene che i benefici della vendetta sono scarsi se confrontati con i danni psicologici che possono causare “Allontana le persone care, perchè chi vuole vendicarsi appare inquietante, nel caso peggiore la vendetta attuata può persino condurre in prigione”
– Mente & cervello – I vantaggi della vendetta di Etienne Mullet
28 Mag 2015
Sai dire di no? Proprio a tutti?
La capacità di dire no è affermare se stessi, essere autentici, senza offendere l’altro.
Per molte persone, è un comportamento difficile da mettere in atto. Sono convinte che per essere accettate e ottenere affetto devono essere, sempre accondiscendenti gentili e soprattutto non devono dire no, devono essere sempre garbati, di buon umore, pronti a consolare, anteponendo i bisogni degli altri ai propri, evitando coscienziosamente il conflitto.
Dicono si quando in realtà vorrebbero dire no. Non esprimono se stessi in modo adeguato. Hanno una mancanza di assertività. Sono compulsivi nella loro ricerca di compiacere. Li accompagna, fedele, la maledizione dell’altruista. Spesso si sentono in trappola, soffocati dalle loro stesse aspettative e da quelle degli altri.
Chi è colpito dalla maledizione dell’altruista crede che mostrando i propri bisogni, le proprie esigenze verrà respinto e abbandonato. L’altruista compulsivo reprime le proprie emozioni. Rabbia e risentimento covano in silenzio, fino a che esplodono per un’inezia lasciando tutti basiti, passando dalla ragione al torto.
Dopo qualche tempo dallo scatto di rabbia l’altruista si sente in torto, assalito dai sensi di colpa “Forse ho esagerato, avrei dovuto…e poi…si, …ma”. Ecco che entra in un circolo vizioso di rinforzo. Non accetta le proprie reazioni e si convince che sia necessario dire sì…sempre. Da notare…l’altruista compulsivo evita i conflitti di qualsiasi genere. Ma rincorre l’altro per avere conferme circa il proprio valore.
Questo spazietto è dedicato a te che ti sei identificato nella descrizione.
Ti propongo un esercizio che do spesso in terapia. Sembra un gioco e invece è uno strumento semplice che ti restituisce un’immagine immediata del tuo modo di comportarti e di che cosa provi. E’ una rappresentazione visiva del tuo essere altruista compulsivo.
Clicca sulla parola Angioletto, scarica l’immagine, stampala, oppure disegnala in un foglio abbastanza grande. Nelle linee che si irradiano dalla figura descrivi ciò che ti sembra di mostrare agli altri o come vorresti che gli altri ti percepiscano: sono sempre sorridente, ascolto tutti, sono disponibile, non dico mai no, faccio ridere tutti, prima ci sono le esigenze dei miei figli, del mio partner, dei colleghi, prima c’è il mio lavoro, non nego mai niente a mia madre, ecc…sono comportamenti positivi, che, però, vi costano fatica, impegno, energie.
Dentro l’immagine, sul vestito e sulle maniche scrivi ciò che ribolle, le emozioni represse legate al dire si, quelle che nascondi, spesso anche a te stesso, quelle che vengono definite “negative”: tristezza, rabbia, rancore, senso di abbandono, angoscia della scelta.
Ora guarda il disegno. Qual è il prezzo che paghi dicendo sempre si?
E’ un giochino che puoi fare in generale, oppure soffermati un attimo e pensa in quali contesti e con quali persone non sei assertivo e cadi nella maledizione dell’altruista
Sappi che i comportamenti possono essere cambiati. Passo dopo passo. Iniziate a dire no, una volta alla settimana. Può essere un no a tuo figlio che vuole andare a dormire tardi. Può essere un no alla tua collega che ti chiede aiuto e tu rimani indietro col tuo lavoro. No ad una amica, no al tuo compagno.
Ultimo accorgimento importantissimo. Il NO, deve essere chiaro, diretto, semplice, secco, equilibrato, educato e deciso. Motivalo, ma non troppo.
E’ impossibile accontentare tutti, sempre. Liberati da questa maledizione.
Bibliografia
Jacqui Marson – Come imparare a dire di no senza sensi di colpa – eNewton Manuali e Guide
29 Apr 2015
Rancore come fare?
Aggrapparsi alla rabbia è come afferrare un carbone ardente
con l’intento di gettarlo a qualcun altro;
sei sempre e solo tu quello che rimane bruciato
Buddha
Rancore proviene dal verbo rancere essere rancido riferito al cibo guasto con odore e sapore disgustoso. Il rancore è un sentimento di ostilità, odio che si ha in seguito ad un’offesa ricevuta. La sua peculiarità è di permanere nel tempo creando pensieri ossessivi e ruminazioni che sfociano a volte in sentimenti di vendetta.
Quell’odio, quel rancore, quei pensieri, fanno stare male solo te. Che aspetti? Inizia a vivere.
In che modo?
Primo passo essenziale per qualsiasi cambiamento. Sposta il luogo di controllo da fuori a dentro.
E che significa?
Locus of control esterno
“Se sto così male. La colpa è la sua. E’ lui/lei che mi ha fatto questo. E’ colpa sua se mi sono comportato così…E’ colpa sua se ho fatto questa scelta”
Locus of control interno
“Come posso fare per migliorare la mia situazione? Faccio del mio meglio per ottenere quel risultato. Mi applico di più…” Non darsi per vinti e cercare sempre nuove soluzioni. Credere in se stessi e impegnarsi per ottenere risultati, perseverando senza temere fatica e senza arrendersi.
La tua azione influenza il risultato finale
Valuta la tua responsabilità nei tuoi fallimenti
Sposta il “luogo di controllo” verso l’interno. Focalizza la tua attenzione su ciò che provi tu, ciò che senti tu, ciò che fai tu o che cosa puoi fare per cambiare la situazione. So che è difficile perchè appena ci provi inizi a pensare “Si, ma lui/lei…” Focalizza la tua attenzione su di te.
Punto focale è il lavoro su se stessi.
Tu sei responsabile di te stesso.
12 Feb 2016
C’è un elefante in salone 2